Le cascine hanno rappresentato, nella nostra civiltà contadina, un piccolo mondo a se' stante, all'interno del quale pulsava una vita intensa, fatta di fatica e condivisione, di umanità e semplicità.
Sono saldamente ancorate al territorio ed alla sua storia in virtù di quel legame stretto di mutua dipendenza tra uomo e ambiente che si è spezzato con l'avvento della civiltà industriale.
Poste generalmente nel perimetro della tenuta agricola, comprendevano la casa padronale, quelle dei salariati, cioè i contadini a contratto fisso, e quelle dei lavoratori "stagionali", le mondine ed i tagliariso.
A parte in qualche caso la dimora dei proprietari, le abitazioni erano il più delle volte costituite da muri umidi e mal cementati, con pavimenti coperti da mattoni o mattonelle. Il camino era ricavato interamente, o quasi, nello spessore del muro. Attorno ad esso, importante fonte di calore, la famiglia prendeva cibo, compiva lavori domestici e trascorreva le ore diurne e serali.
Il mobilio era scarno: al piano terreno normalmente un tavolo (taùl), sedie (cadrèi ad legn o ad lisca), credenza (cardènsa), cassapanca (baül); al piano superiore un comò per la biancheria (cumò), un guardaroba per vestiti (armuàl), il letto di ferro (litéra), due comodini (cifôn), il lavabo in ferro.
Il fronte delle stalle occupava buona parte del perimetro edificato e sopra di esse si allineavano i fienili, protetti dalle intemperie con caratteristiche graticciate di mattoni sfalsati. Un ampio spazio veniva destinato anche alle stalle destinate ai buoi, alle scuderie per i cavalli ed ai locali di servizio, da cui ne veniva quasi sempre ricavato uno per la produzione dei formaggi. Sorgevano inoltre i portici per il ricovero delle macchine agricole e della legna, i porcili ed i pollai.
Nel mezzo vi era una grande aia (èrä), usata per la trebbiatura e l'essiccamento dei cereali e la sgranatura dei legumi, mentre a lato si disponeva la concimaia (rüdèra).
Nella cascina lomellina non era difficile trovare anche un semplice e piccolo campanile che scandiva le ore richiamando i contadini dai campi o annunciando la fine della giornata di lavoro.
I silos in cemento armato, per la conservazione di grano, foraggio ed altre sostanze deperibili e l'essiccatoio completavano la serie dei fabbricati.
Fra le figure più significative di coloro che animavano la cascina troviamo il fattore (fatùr), responsabile dell'azienda agricola, il manzolaio (mansulè), che provvedeva ai lavori inerenti la cura del bestiame giovane (manze e manzette), il famiglio (famei), che gestiva il bestiame da latte, il bifolco (bùrch), destinato al governo dei buoi, il cavallante (cavalant), addetto alla guida dei cavalli da tiro, i braccianti incaricati del lavoro nei campi ed in certi periodi dell'anno le mondariso (mundìn), che avevano il compito di estirpare le piante nocive dalle coltivazioni di riso.
C'era fra gli abitanti della cascina un forte senso di solidarietà, di adesione al lavoro in comune, di partecipazione alla vita di gruppo.
Era consuetudine, e quasi un rito, prestare la propria collaborazione in occasione della macellazione del maiale, che avveniva normalmente nei mesi di dicembre o gennaio; era una festa collettiva prendere parte alla sera, con parenti ed amici, alla cena (purslatada), a base esclusivamente di carne suina.
Sull'aia ci si trovava ancora insieme, uomini, donne e ragazzi, per la spannocchiatura del granoturco, che avveniva a fine settembre.
E nei mesi invernali, a lavoro fermo, era piacevole intrattenersi nel tiepido calore delle stalle, o accanto al camino acceso, a chiacchierare, a pregare o ad ascoltare racconti (la cünta).
Sono degne di menzione, a Parona, le cascine Scocchellina e Castello (Cascinino), tuttora in attività. Per Naìna, Sant'Antonio ed Olmetta, invece, è stata poi variata la destinazione d'uso o sono stati demoliti gli edifici.