Il lavoro
Nel territorio di Parona sostarono diversi popoli antichi, in particolare i Celti (chiamati Galli dai Romani) e successivamente i Romani.
Nelle nostre cascine si insediarono alcuni gruppi di famiglie organizzati in colonie agricole, dediti alla coltivazione della terra ed all'allevamento degli ovini. Abbatterono grossi alberi ed utilizzarono i tronchi per costruire le case.
Intorno al 1000 d.C. l'agricoltura progredì, grazie al perfezionamento degli attrezzi agricoli; si passò dall'aratro primitivo con il vomere di selce a quello sagomato di ferro; fu introdotto l'uso dell'erpice, della falce messoria, della zappa e della vanga. Fu inventato il giogo di legno per i buoi e le mucche da tiro.
Furono risanate vaste zone paludose e, grazie all'importazione di nuovi prodotti dal continente americano, si coltivarono riso, patate, arachidi, mais, robinie e gelsi.
In molte famiglie si allevò anche il baco da seta. La maggior parte dei bozzoli veniva portata nel comense, alle industrie per la tessitura della seta. Alcune donne di Parona, dopo aver messo il bozzolo a macerare nell'acqua, con piccole scope di saggina svolgevano il filo di seta del bozzolo e lo utilizzavano per vari scopi.
Anche la canapa veniva filata e tessuta in laboratori che sorgevano soprattutto in vicolo Dante (Ca' di tlôn: Casa dei teloni).
Gli artigiani, i sarti, i calzolai, i falegnami, i fabbri, i muratori, i mugnai ed i fornai provvedevano a soddisfare le necessità producendo oggetti di uso domestico.
Nel periodo che va dalla metà del seicento ai primi del settecento, la Comunità di Parona assunse il Segretario Comunale, che era anche notaio; egli venne poi affiancato dal catastaro, che aveva il compito di tenuta ed aggiornamento dei libri catastali.
Altri incarichi pubblici furono affidati al messo comunale, al becchino, all'esattore ed al postaro del sale, l'antenato del tabaccaio dei giorni nostri.
Furono nominati speciali ufficiali campestri (campari), che avevano l'incarico di infliggere le multe per i danni furtivi di acqua nelle campagne.
Un altro antico istituto comunale fu la porcarana o porcaruzza, relativa alla custodia degli animali suini affidata al porcaro. I consoli paronesi stipularono molte convenzioni riguardanti questa attività.
Sul finire del 1834, Parona si dotò di una macchina antincendio, acquistata a 1.200 lire nuove di Piemonte e furono nominati un direttore di macchina e sette "guardie del fuoco".
Nel secolo scorso molti paronesi emigrarono in Prussia ed in America Latina, in particolare in Argentina, in cerca di lavoro. Alcuni impararono un mestiere e fecero ritorno al loro paese, altri non tornarono più.
L'alimentazione
I nostri avi si nutrivano di pane che venne prodotto anticamente con farina di miglio, in epoche successive con quella di segale e di frumento. Le pagnotte venivano cotte nei forni a legna che si trovavano al centro del paese e di solito dovevano durare almeno una settimana. I diversi tipi di pane, mangiato in grande quantità, soprattutto dalla gente povera, erano: il pane di "meliga" (prodotto con farina di mais), quello di "risina" (prodotto con farina di riso) e quello di "segale". Il pane si usava molto per la prima colazione, nella zuppa di brodo con cavoli e nel caffelatte.
Quasi tutte le famiglie avevano un pollaio ed un porcile e allevavano polli, oche e maiali. Le oche venivano spennate e le piume erano utilizzate per imbottire materassi e cuscini; la carne, fatta a pezzi, veniva conservata sotto grasso. Anche la carne di maiale era conservata sotto grasso ed erano confezionati salumi messi poi nella "duija" (olla di terracotta).
Sulle rive incolte di fossi e canali crescevano bacche del sottobosco, frutti selvatici, tuberi e radici varie.
Nell'orto si coltivavano fagioli, fagiolini "dell'occhio", fave, cipolle, verze ed erbette varie.
Il vino, già conosciuto in epoca romana, si beveva caldo con aggiunta di miele ricavato dai favi delle api selvatiche presenti nelle cavità dei vecchi tronchi d'albero.
Fino a 60 anni fa tanti paronesi possedevano una vigna e producevano il vino "Clinton" (Clinto); alla fine del XIX secolo i nostri bisnonni, che tornavano dall'America Latina, portarono un tipo d'uva detta "americana", più dolce e di maggiore resa. Essa veniva conservata su stuoie e si mangiava anche durante l'inverno.
Negli ultimi due secoli le coltivazioni principali sono state quelle del riso, del mais e di prati e marcite per l'allevamento del bestiame.
Il cibo veniva cucinato sul fuoco a legna e molto spesso consisteva in minestroni di verdura conditi con lardo, oppure polenta con latte.
Nei giorni di magro per la tradizione cristiana, si mangiava la minestra con i fagiolini "dell'occhio", condita con l'olio, un pezzo di formaggio ed il pane.
Raramente si mangiava la carne bovina. Infatti a Parona non c'era una macelleria; solo una volta a settimana veniva in paese un macellaio con pochi chili di carne.
Alla domenica era consuetudine pranzare con il risotto e qualche pezzo d'oca; di sera bastava una scodella di latte con il pane ed un po' di salame e frittata.
Si beveva vino annacquato e l'acqua del pozzo.
La scuola - L'istruzione
Fino a tutto il secolo XVIII, il 90% degli abitanti di Parona non sapeva ne' leggere ne' scrivere; pochi sapevano scrivere il loro nome ed eseguire qualche operazione aritmetica molto semplice.
Dagli atti conservati nell'archivio comunale risulta che nel 1699 ad un cappellano di nome Corsio fu assegnato il compito di insegnare ai giovani.
Nel 1750 l'imperatrice Maria Teresa d'Austria emanò una riforma che prevedeva l'istruzione obbligatoria. Solo 150 anni dopo, nel 1900, Parona si adeguò a tale riforma istituendo l'istruzione obbligatoria fino alla terza elementare. Fu organizzato anche un asilo infantile. La scuola ebbe varie sedi fino alla morte della signora Elvira Legnazzi, che aveva lasciato in eredità all'istituzione una sua proprietà ed una notevole somma di denaro da destinare alla costruzione dell'attuale edificio scolastico.
Per frequentare la IV e la V classe elementare, invece, i paronesi si recavano a piedi a Mortara o a Cilavegna. Nel 1920 fu istituita la classe IV a Parona e quindici anni dopo la classe V.
Il gioco
I bambini giocavano all'aria aperta e molti erano i passatempi.
D'inverno facevano la battaglia con le palle di neve; formavano una cupoletta e costruivano un grosso pupazzo, scivolavano sulla neve ghiacciata davanti alla Chiesa parrocchiale.
Ascoltavano le favole che le nonne raccontavano durante le lunghe sere trascorse nelle stalle, riscaldate dal fiato delle mucche e illuminate dalla lucerna a petrolio.
In primavera e in estate invece i ragazzi giocavano in piazza o nel cortile dell'oratorio; facevano capriole, la "saltacavallina", giocavano alla "lippa", alla biglia, alle bocce, con le figurine oppure con un pallone realizzato dalle nonne con gli stracci.
In campagna i bambini si divertivano a usare le fionde per lanciare sassi e si arrampicavano sugli alberi in cerca dei nidi di merlo. Nuotavano nel canale e saccheggiavano gli alberi da frutto di nascosto. Utilizzavano anche giocattoli costruiti da loro: con la carta confezionavano barchette, siluri ed aerei, farfalle e festoni colorati; con un pezzo di ramo di salice o con il fusto di granoturco realizzavano uno strumento musicale a fiato; sagomavano turaccioli o pezzi di legno e creavano carretti.
Erano numerosi anche i giochi preferiti dalle ragazze: girotondo, "mosca cieca", la "bella lavanderina", la "pollaiola", il "campanone", "topolino", "è arrivato un bastimento", "palla prigioniera".
Gli uomini adulti, invece, si divertivano soprattutto la domenica quando si recavano all'osteria e giocavano a carte: alla briscola, a tressette e a scopa; ma si dedicavano anche al gioco della "morra" e alla "rana".
Il bisogno di stare insieme
Nel passato le famiglie erano molto numerose ed erano organizzate in modo patriarcale; gli uomini anziani, cioè, erano i capifamiglia ed erano molto ascoltati e rispettati.
Non c'era la televisione ed i membri della famiglia, d'inverno, si ritrovavano attorno al focolare o nelle stalle per raccontarsi gli avvenimenti della giornata o ricordare il passato. D'estate si trovavano con i vicini sull'aia per far festa, cantare, chiacchierare...
Ci si coricava molto presto perché all'alba i contadini dovevano recarsi al lavoro nei campi e gli artigiani iniziavano il lavoro nelle loro botteghe al sorgere del sole.